IN MEMORIA DI MAURO GRIOTTI, DELLA SUA PITTURA, DEL SUO “ZEN”

IN MEMORIA DI MAURO GRIOTTI, DELLA SUA PITTURA, DEL SUO “ZEN”

8 Luglio 2020

Una volta che gli chiesi come creasse le sue opere, Mauro mi rispose che in realtà era un processo di rilassamento continuo, un godimento sensoriale che aveva vita propria. Prima c’era una macchia, piano “accadevano” i colori e le linee che la intersecavano, infine la tela aveva il suo quadro. Ero piccolo per capire che quello che mi stava dicendo mio nonno non era una semplice sottigliezza, una parte trascurabile di ciò che era la sua creatività in toto. Ripensandoci adesso, che ci ha lasciato, credo che quello che mi ha detto quel giorno sia invece il nocciolo della sua arte, quella filosofia “zen” di cui parlava sempre, quella materialità su cui aveva discusso spesso nelle cene a Camaiore dall’amico Luciano Regattieri, nelle cene a casa sua, al castello Malaspina, dove aveva ospitato anche Cesare Musatti.

La casa dove ha vissuto, dove ho vissuto io, dove vivono i suoi quadri è zeppa di questa materialità. Su ogni muro c’è un suo quadro, molti del primo periodo blu, dalle tinte spente della carta da zucchero, dalle geometrie squadrate, dove le linee creano spazi precisi e astratti. Quel blu così freddo Mauro lo aveva utilizzato estensivamente, il suo colore preferito lo aveva messo pure sulle persiane e sugli infissi della sua casa, che aveva chiamato “La Bouganvillea”, per via del rigoglioso fiorire della Bougainvillea, che tempesta l’ingresso della casa ad ogni estate. Il blu lo aveva definito “un colore mentale”, che divenne blu ciano brillante, quando nacque Margherita, mia madre, nei primi anni settanta. La nascita di Margherita, per lui che non pensava nemmeno più alla possibilità di mettere alla luce un figlio, consacrò l’arrivo di un qualcosa: la speranza, la felicità, l’emotività, che prima aveva levato dalle sue tele. Per poter dipingere quelle emozioni, avrebbe dovuto usare di nuovo tutte le tonalità, che sarebbero state poi quelle dei suoi periodi successivi, ma per farlo doveva prima immergersi fino in fondo nella freddezza del suo blu, cogliendone la massima espressione, il colore più amato, quel ciano così intenso che segna gran parte delle sue opere.

Il periodo arancione, gli studi sulle cave, viene tutto dopo quel momento e anche se si potrebbe fare un enorme distinzione fra il suo periodo astratto e quello figurativo, a mio avviso, sarebbe un errore non ritenerli un fluido continuo. Mauro Griotti non ha mai smesso di essere astratto, anche quando la materialità del suo colore e il gesto della pennellata li aveva messi a disposizione di un luogo già geometrico, già caotico, già calmo, che aspettava la sua mano. L’incontro fra Mauro Griotti e le cave era solo una diretta conseguenza di quello che era stato il suo periodo astratto. In questo incontro, il periodo astratto, con il suo bianco e nero prima, con il suo blu ciano poi, con il suo arancione ancora dopo, aveva trovato un modo di esprimersi sempre più potente, perché ora quella geometria parlava di qualcosa di materiale, di fisico ed esistente, di qualcosa che aveva un legame profondo con la sua terra.

Guardando la cava delle Cervaiole nelle sue tele, gli scorci mattutini, serali, pomeridiani nel ciclo che vi aveva dedicato, guardando gli studi delle Apuane, sembra di avvertire il vento che passa in mezzo ai blocchi, il silenzio del sole cocente che scotta le lastre che rilucono: tutto è immedesimato in quel processo di “godimento delle forme”, il suo “zen”, il suo amore per il pennello, per il colore. Pare di sentire la montagna dentro di sé, mentre il pittore la spinge con delicatezza, senza alcuna forza, e anzi, con dolcezza, dentro la tela.

Mauro Griotti è un patrimonio nascosto, una gemma rara che non ha bisogno di spiegazioni: chi vede le sue opere davanti a sé, coglie senza porsi troppe domande la sua eternità, perché Mauro non cercava di essere immortale nel dipingere, semplicemente coglieva il godimento della pittura: si sente nei suoi colori, forti, che parlano di emozioni potenti, nelle sue geometrie che rimbalzano ai nostri occhi la vertigine ancestrale delle cave delle Apuane, ma tutto avviene con una tale semplicità che nemmeno ce ne si accorge.

Posso dire, solo oggi, dopo tanto tempo di aver capito cosa intendeva quando parlava di quel godimento.

 

Autore Jacopo Gerevini

Editore Valentina Morotti

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