L’EMOZIONE DELLA PITTURA

L’EMOZIONE DELLA PITTURA

VITTORIO SGARBI

STORICO DELL'ARTE

Mimmo Centonze dipinge i suoi affetti. La sua pittura di figura prende corpo, letteralmente, davanti ai corpi delle persone care. Più ancora che nel caso di Freud, dove il rapporto sentimentale genera l’emozione pittorica, Centonze sembra stimolato soltanto dalla sfera familiare o quella immediatamente vicina,dei parenti e degli amici più stretti, delle persone più amate. È un riflesso condizionato: il pennello si muove come una carezza sul volto o sul corpo delle persone amate. In tempi refrattari ai sentimenti come i nostri, questa condizione stimola la creatività, e investe molti giovani artisti come una vera e propria ragion poetica.

Penso allo scultore Giuseppe Bergomi che ritrova le sue modelle ideali in moglie e figlie (e qualche raro amico); o al pittore Andrea Martinelli che muove il suo sguardo, con reiterata insistenza, fra il volto e il corpo del nonno e di altri parenti. Centonze procede a una rigenerazione delle carni e degli abiti nel colore, che trae certamente ispirazione dalla pittura di Freud, ma anche da quella di maestri antichi, come Ribera, o luminosi nella materia, come Stomer e Ter Bruggen. Dentro di sè aspirerebbe, ma lo assevera più la fede che la ragione, a riprodurre il miracolo di Rembrandt; e a questo sembrano orientati gli spessori di colore,animati dalla luce, dei suoi ritratti e composizioni di figura.

Per Centonze la pittura antica non è passata invano, non è un mondo lontano, da osservare e da cui tenere le distanze, ma è un mondo vivo da cui trarre ispirazione creativa e linfa pittorica. Non so se il giovane artista, pur colto e curioso, conosca Giovanni Serodine, meraviglioso ticinese; ma sono certo che lo sentirebbe affine e che alcuni dipinti, come il Ritratto del padre nel Museo di Lugano, gli accenderebbero il cuore, proprio per la calda e viva materia che si agita e vive nell’opera di entrambi.

I volti e le anime che li indossano sono, per Centonze, in Paradiso, a dimostrazione che “homo homini deus”. Per lui Totò Riina ( dipinto su commissione del Museo della Mafia di Salemi) è buono. Il male è altrove, è nel vuoto, nell’assenza . Così i suoi magazzini, anche attraversati dalla luce, o infiammati dal fuoco del colore, sono l’inferno. L’inferno è l’assenza dell’uomo; e Centonze accerta anche l’opposta condizione dell’”homo homini lupus”. Ma il “lupus”, nel suo caso e nella sua visione, è il vuoto. Così i suoi interni sono ideali luoghi della ascesi attraverso l’esperienza dell’abisso. Dal buio alla luce, e nella luce l’uomo. Cioè Dio.