PENSARE E CREARE

PENSARE E CREARE

di Giancarlo Frisoni

Io tutte queste cose non le sapevo, sono state loro a cercare me. Io sapevo solo che all’improvviso ero rimasto senza neanche più un amico con cui giocare perché se ne erano andati tutti a stare in città, e pensavo a cosa fare per passare il tempo. Stavo lunghi momenti a guardare i colori dei campi che prima mai mi erano sembrati così belli. A guardare i muri screpolati del vecchio ghetto dove il tempo aveva scalfito forme strane, alcune belle quasi fiabesche, altre complicate e astruse. Ricordo la forma di un tronco contorto, la testa di un serpente che mi faceva paura, la faccia di un mostro orribile che pensavo tra me e me – tanto pian piano ti cambio -. Così con una pietra appuntita avevo tracciato dei segni per farle i capelli, l’ovale di un volto grazioso, poi le braccia, dei fili di fiori in una mano. Allontanandomi mi era piaciuto e non mi incuteva più quel senso di apprensione. Da quel giorno ho avuto tasche piene di chiodi, di sassi e carboni, e incidevo scalfivo, imbrattavo muri e porte.

Il mio “cosa fare” era diventato come, dove, e quando fare, tanto che mia madre doveva venire a cercarmi! Poi è venuto naturale rubare il ramato per colorare i cieli dei miei disegni, lo guardavo sempre sul muro dietro la vite del portico quant’era bello il turchino! Ma non mi bastava, volevo i colori di tutta la terra, e strisciavo foglie d’olmo e di malva sul muro fin quando lasciavano il verde, dai papaveri rubavo il rosso, dai pollini il giallo, il viola dal vino.

Mai più ricordo un periodo così pieno di me. Guardavo le cose ed il paesaggio per capire e imparare quel che non sapevo, nomi che codificavo a modo mio : i miei tagli erano le linee, le forme il disegno, le proporzioni la prospettiva. E intanto copiavo sui muri quel che avevo davanti, e sognavo di diventare pittore come il bambino disegnato sulla scatola dei colori che mia sorella più grande teneva rigorosamente nella cartella di scuola. Già, i colori, un dilemma! Per me che non ne avevo non erano mai abbastanza, esistevano solo quelli che vedevo e trovavo in natura, e quelli dovevo usare! La passione e la curiosità così muovevano il mio mondo, mi scoprivano inventore, occhi e mani trovavano e provavano di tutto, dallo zolfo al succo di sambuco, dall’acqua arrugginita al mallo di noci fino ai tuorli delle uova. E poi la terra, la mia terra che raccoglievo quand’era polvere, la impastavo con le mani e l’attaccavo al muro. Solo che non avevo colle e quando s’asciugava screpolava e poi cadeva, mi aiutavo allora con manciate di farina che usavo da legante, avevo visto il nonno tamponare così i buchi del paiolo.

Oggi posso dire che quel periodo mi ha forgiato e insegnato una visione e filosofia di vita speciale, che mi ha portato sempre più verso la curiosità, la bellezza e il piacere delle cose. All’interesse del conoscere, del pensare, del creare e del fare. Il sogno che avevo da bambino posso dire che si è realizzato, e oggi dipingere è parte di me.