Se sei nato in casa Freud

SE SEI NATO IN CASA FREUD

Marco Vallora

CRITICO E STORICO DELL'ARTE

Per me, da tanto che non lo vedo, 'mimmocentonzemimmo'- -lo 'scherzo' così, affettuosamente, lui se la prende per un po', ma poi ci ride su, sonoramente, e la tempesta del telefono si scatena inarrestabile, sbandando- 'mimmocentonzemimmo', anzi 'mimmi', come è diventato adesso nell'ultimo sms (che sia uno sbaglio della fretta comunicatoria od un intensificarsi della confidenza?) comunque, 'mimmocentonzemimmi' (che ha qualcosa, eufonicamente, dell'esplosivo 'immillarsi' dantesco) è diventato, per me, da quando non lo vedo, che era come un ragazzino bisognoso d'una mano, mentre adesso è diventato un pittore ufficiale, da palazzodelleesposizioni, ebbene per me si è trasformato come in una sorta di folletto telefonico, di Puck telematico, di cip-cip informatico (non ho detto 'virus' o 'troyans', signori! di quelli cioè che si accampano vigliaccamente, per una battaglia ilidiaca, dentro le tue viscere meccaniche, e ti succhiano il sangue, illocalizzabile, del computer) ma no, per carità, un dolce paguro bernardo rassicurante, della mia bislacca professione! Epperò, appena metto sù un apparecchio domestico, un elettrodomestico scrittorio, schiaccio un pulsante cellularico, accendo l'acciarino del pc, lui è già lì, da sempre, a litaniarmi ancora e da sempre: “Dai, sei rimasto solo tu!”, “Sù, che il Professore ha già mandato!”, “Ma non puoi tradirmi questa volta!” “Tieni conto che Vittorio è già a livello delle bozze!”. Tengo conto, 'arrivare dopo Vittorio è troppo!'.

Insomma: un esattissimo bollettino di pace e di guerra, aggiornato al millimetro, che io per precauzione sorniona e vile difesa lascio sciamare, un po' preoccupato, ma nemmeno troppo, dietro la collottola della mia vita affannata, come un lento, percussivo arazzo sonoro, non che gli abbia mai detto davvero detto di sì, o fatto grande promesse, ma lui è già lì, in attesa, accucciato nel sacco a pelo telefonico della sua sconfinata simpatica fiducia, sms, skype, messaggi elettronici, dispacci, twitters, telegrammi pneumatici, persino fidippide che, come un cagnone trafelato, ti raggiunge, con l'avviso capitolino notturno nella bocca, attraverso i fili intorcigliati dell'etere che non c'è più (per la scienza) e come fai a dirgli di no, mannaggia, se lui intanto: “manonpuoinonessercipropriotuchecisonolefigurechetipiaccionotanto”. Mah, insomma, sarei 'quello che gli piacciono le figurine'. E sia. Forse perché ha pensato, un tempo, che io non amassi quelle sue officine vuote, slavine e riflussi infuocati di trippe materiche, che già conoscevo da Ossola, da Papetti, da altri artisti, anche belgolandesi contemporanei, fluire via lutulento e un po' trafelato, sommario, del tempo pittorico pennellato, come in una gola-gora malata, irritata.

E gli consigliassi di conseguenza un 'rappel à l'ordre' ragionevole, con anabasi annessa da ritorno prodigo al cippo paterno (che è poi un termosifone-trappola) al suo freudiano 'romanzo familiare', tra il letto domestico addentallato da Ulisse, e lo scialletto cromatico, eterno, della sua sposa, che fa di vedovato un saviniesco tricot. Non so se sia vero, lui la pensa così; ma mi rendo conto che la 'carezza' pittorica accanita, di cui parla efficacemente e soavemente Sgarbi, e che contorna e brucia i suoi affetti, in un falò di stratificazioni materiche spatolate, come in un innocentissimo ma intratteni-bile bacio da giuda rembrandtiano, che tutto consuma quello che sfiora, e tac tac ti fa la tac, e termodiagnostica, e risonanzamagnètizza e mio-maoplacèntesa, e più che radiografare è una profonda, riecheggiante ecografia sentimentale, quella che lui scandaglia, nel fondo avvinazzato e torbido, dell'anima delle cose, e dai e dai, penetra più giù, s'inabissa, graffia, nuota, svirgola, scodinzola, contorna, sviscera, scevera, scotenna, svela, come si dice d'un restauro 'svelato', d'una tela, che ha perso il suo glamour lustro, specchiato, ecco, la sua “carezza” è diventata via via sempre più invasiva, subacquea,infiltrosa, insinuante, torturante, rosicante, sottocutanea, compulsiva, consumante, corrosiva (senza esagerare troppo, però...).

Ma in fondo perché mai insisto, e lui me lo conceda, amorosamente, sopra quest'idea martellata e martellante del “mimmocentonzetuttod'unfiato”? Perché questa sua onnipresenza di preghiera rituale, inarrestabile e mezzuinica, che avverto dietro di me, è già qualcosa di pittorico, di onni-visivo (appunto, forse: le figurine). Io me lo vedo davvero, il 'mimmocentonzo' busterkitonico, tipo 'Navigatore' virtuale, a flanare un po' ebbro di trementina (adesso si dice alchidico, che sta quasi per alchemico... ma, credetemi, è alla fine la stessa cosa, tutto si secca un po' prima, senza dover mettere ai piedi ulcerati i rovinosi bracieri leonardeschi, che squagliano tutto il gelato della sorpresa, come per la Battaglia di Anghiari) ed immancabile me lo vedo proprio accanto a me, nei fili accartocciati del vivere, eccolo, scattare su come un puck grondante olii boschivi, sempre lì, infrangibile, come un'onda maxwelliana, che riprende ogni volta a vagare, peregrinare, zigzagare, pellegrinare, footingare,inesausto e poi finalmente accamparsi, ed impiantarsi, ed incistarsi, ed infine addormentarsi, un attimo soltanto, come un marinaio coatto di velature ammainate, tramontate, sulle amache stanche e lise della filanda telefonica, della babele informatica, della foresteria comunicativa.

E di nuovo rientrare in scena, come un misirizzi inmperituro della corvé ritrattistica. E se no, come potrebbe esser 'sempre lì', svolazzando leggero tra le lenzuola celesti, e non celestiali, della sbertolucciana 'camera da letto' familialistica, dove l'edipo è scappato via come uno scoiattolo ghiottone, ma intanto lui sta inesorabile ad un passo dal sonno innocente e disfatto, del vecchio padre, che si porta a letto disarmato una radiolina, come se fosse un Holter pressorio, od una macchina ammazza-fantasmi, e la madre difende gli occhi offesi ed infastiditi, da questa sorta di riverbero ghiaccio al satin, che la pittura le mette addosso, come un'ievitabile coperta saprofita ed alluminica.

Anche la ragazza Mirianna, un po' disfatta dall'incombenza sfibrante, letteralmente, dell'interminabile posare, chissà perché, s'è portata accanto a sé, protettivo, sulla pancia logora del divano, una sorta di biscottino apotropaico, che non è che un tubetto di colore, sottratto all'occhio inflessibile del pennello. Come chiedendo tregua, un briciolo almeno di sonno riconfortante, magari anche quello estremo dell'adilà faiyumico.

Ma vi siete chiesti mai voi, di fronte a queste trappole anatomiche, dove vada a posizionarsi quel folletto d'occhio o di cinepresa del 'mimmocentonze', che è sempre ovunque, spalmato nell'aria, ma non sai mai bene affacciato a quale poggiolo ottico?
Talvolta s'è rifugiato sul lampadario, come un insetto vorace, per mappare dall'alto la nudità esausta e catturata della Gioanna, come in un romanzo ormai lontano di Alcide Paolini, appeso al filo del desiderio. Talaltra si tuffa in picchiata sul tigrato pelouche d'un'altra fanciulla, atterrata anche lei, sul ring dell'esaurimento posizionale. Morta ad ogni reazione.

Agguantante ko. Quello che non sopporti, in certe regie d'opera d'oggi, che chissà perché, con tutto il bendidio del trovarobato teatrale d'antan a disposizione, e con la potenziale fantasia degli scenografi di oggi, e lo scialo desaignico, si risolvono tutte raso terra, con Attila che dialoga col Pontifex in una sorta di campagnolo pic nic incongruo, al pian dei babi, ed il resto del palcoscenico rimane terribilmente sgombro, persino recentemente una nobile Marescialla melanconica del 'Rosenkavalier', che abita una sorta di Kunsthistorischer ricostruito, ma razzola a terra, su un tatami improvvisato o meglio un saccopelone cheap, col suo damerino azzimato intrappolato dai cuscini, e guai all'ombra lussuriosa d'un baldacchino hefmannsthalico, come se si trattasse d'una scena hippy-drogata, alla Nan Goldin.

E qui invece lo accetti, come se nulla fosse, come se fosse fisiologico e naturale, che tutti questi parenti, addestrati alla bisogna, appena vedono il pittore che prorompe dal suo mondo inscatolato, messaggistico, armato della sua panoplia inarginabile di spatole, pennelli, pennellesse e pennellate, già nell'aria d'accostamento, tra fiammanti sguardi dardeggianti come lingue libidinose, si buttino tutti subito a terra, al massimo abbarbicati alle lenzuola, come cagnoni festosi e fiduciosi, beati. A lappare la lingua contigua della pittura. Eh, già, hai poco da ribellarti, a quel piroettare di pittura gendarmica e stordente, che non ti dà tregua: seduti! giù a terra! Ma avete provato mai, voi, a nascere in una famiglia che non è una famiglia normale e qualunque, ma è esattamente un quadro clonato di Lucian Freud, e non sai nemmeno se sia corposa, questa famiglia, tridimensionale, rotonda, o forse è immaginaria, virtuale, riprodotta, la vedi appunto qui, specchiata e 'battuta', come una tappezzeria usurata od un tappeto infeltrito, e ti domandi se il materico materano Mimmo Centonze non viva appunto in una sorta di Flatlandia, piatta ed atterrata: una trama sfilacciata, ma saldissima, di rapporti cromatici, però senza alcun spessore, senza corporatura, altro che la labile, specchiata, fluente ofelia della superficie pittorica.

È come se lo scarafaggio di Kafka si prendesse la sua rivincita, in questa sorta d'interminabile 'Lettera al Padre', però rivoltata, ribaltata, vincente. Solo io sto in piedi, su nel cielo, e adesso tutti voi, giù, giù per terra! Così, persino nella casoratiana piramide 'biblica' dell'allattante idillio familiare, la vispa bambina imbronciata ha già capito tutto: “tutti giù per terra”, come in un girotondo metafisico, a fregare gli ordini del maresciallo impennellato. Ecco: alzo un pochino il bordo del tappeto, curioso di capire se è vero, concreto, peloso, e mi trovo subito, sepolta lì sotto, come nelle “Fumatrici di hashish” di Previati, la voce ventriloqua di 'mimmi', che stava in agguato. Poco fa gli ho chiesto: “Sono ancora in tempo? Accetti tutte le mie baggianate?”. Lui stava già pronto a rispondermi, ed intanto, ubiquo, come un freschista cosmico, dipingeva chissà dove, nascosto nelle pieghe d'un altro incesto materico. “Perfetto, ce la fai. Alla grande. Ma nel 2009 mi dicesti” anche l'aoristo, per bacco, tremo! “vuoi un testo serio o uno eccessivo? Io scelsi l'eccessivo. Quest'anno fai quell'altro...” Oddio, che mi è diventato istituzionale, il mio “mimmocentoneze” -da quando ha salito lo scalone del Palazzo? No per carità! Io non ho mai promesso nulla, non mi vedo proprio a proporre quest'aut aut millenaristici, né propongo mai nulla preliminarmente di serio o di eccessivo, figurarsi: solo affettuose baggianate.

Ma lui è così: impasta, prepara tutto lui, si fa le domande, risponde, dipinge la realtà come vuole, come se fosse un volto da bersagliare di pennellate. Sì lo so, non sono, insolitamente, buono, questa volta, come m'è diventato l'ex-sgarbato Vittorio, davvero non riesco a vederci Dio, per quanto mi sforzi, sopra dentro queste cartilagini, ma non perché lo rinneghi blasfemo o non me lo immagini, solerte, accanto agli svolazzi di Centonze, come un angelo buono; ma mi affascina di più quella cloaca infernale dei gommosi, smottanti “Ferri vecchi”, dove vanno a confluire e sbottare tutti gli spasmi e le intolleranze alimentari delle plumbee pennellate gettate via, sprecate, disperse. O meglio: ci vedo solo il maniacale 'dio del dettaglio' di stampo Warburg. Accanito e martellante. A 'me mi' rode solo una cosa, ma non maligna, sincera: ma sarà davvero così 'lucienfrudiana' la famiglia di Mimnmo Centonze. Ma è possibile un miracolo di suggestione così spiritico? Provate a pensarci anche voi...