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IL ROSSO - a cura di Francesco Corsi
Nel processo alchemico la “Rubedo” è la fase di conquista del fuoco spirituale che succede alla “Citrinitas”, il giallo e alla fase dell’ “Albedo”, partendo dalla “Nigredo”. San Tommaso D’Aquino, il Dottore della Chiesa discepolo di Alberto Magno, grande filosofo e alchimista del ‘200, pur negando la possibilità del mutamento sostanziale della materia, sembra indicare un percorso di purificazione dal nero, attraverso il bianco, il giallo, verso il rosso, dove il fuoco renderà manifesto ciò che era nascosto. Dalla materia torbida alla purezza.
Se in questa manifestazione dedicata alla meritevole artista Fiorella Noci, si è scelto di partire dal rosso, probabilmente è legato all’aspetto biografico, che vede l’artista dedicata per molti anni ad una passione per la figurazione dei papaveri. Pensiamo innanzitutto al “Campo di papaveri a Vétheuil” di Monet per essere travolti dalla passione di quel fiore seducente, ma anche ai papaveri di Van Gogh o a quelli di De Nittis e poi di Klimt.
Ma il rosso è il colore dell’arte che nasce con i graffiti rupestri di Altamira e attraversa tutto il percorso pittorico e simbolico dell’umanità, dalla lussoriosa Pompei, con i suoi erotici lupanari, alla pittura del sacro con il minio dei Codici Miniati medievali o con il “Compianto sul Cristo morto” del Botticelli; dal potere del Duca di Montefeltro di Piero della Francesca, ai panneggi di Van Eyck della Madonna di Lucca, fino alla ribellione ai canoni dei fauves con lo splendido “Dessert nella stanza rossa” di Matisse. E come non pensare ai rossi del Tiziano e di Lorenzo Lotto che ha utilizzato mirabilmente il rosso con il suo complementare che è il turchese.
È il pigmento delle cosiddette “sanguigne” eseguite specialmente in epoca manierista, come il colore dei capelli del Rosso Fiorentino che realizzò “L’allegoria macabra” opera sanguigna su carta presente al Gabinetto degli Uffizi.
Ma è curioso anche ciò che si legge nel Dizionario Fanfani del 1891 edito dalla Le Monnier di Firenze, dove viene definito “Uno dei sette colori e il meno rifrangibile, che nel prisma vien sotto l’aranciato”, ma anche “voler dire il suo rosso”, come voler dire la propria oppure “Tutto il rosso non è buono, tutto il giallo non è cattivo”. Anche qui, riferimenti alchemici che si incrociano con i riferimenti ippocratici, dato che per Ippocrate la bile gialla faceva riferimento al temperamento collerico.
Se pensiamo al rosso come al colore dell’eros, Dante, nel Convivio, rileva che i pensieri sensuali nelle pudiche buone donne “là dove tentati sono di fallare” “si dipingono ne la faccia di pallido o rosso colore”. Sempre in tema di letteratura, il conterraneo Dino Campana nei Canti Orfici evoca il contrasto del rosso con il verde, che è il colore dominante nei nostri coni oculari: “Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita, arsa su la pianura sterminata nell’Agosto torrido, con il lontano refrigerio di colline verdi e molli sullo sfondo”.
Il rosso è il colore del potere imperiale, del lusso degli antichi, quando ci volevano 12.000 conchiglie per realizzare pochi grammi di rosso purpureo e una tintura veniva a costare come anni di stipendio di un fornaio. È il colore delle vesti cardinalizie, il colore delle scarpe del Papa. Isidoro di Siviglia deriva il termine “porpora” da “puritate luci”, dove, appunto il rosso rappresenta la purezza della luce. Ma possiamo anche pensare agli Inni di Sinesio, dove celebra il potere misterico del fuoco. Il colore per gli antichi, non è una proprietà fisica, ma il riferimento metafisico di significati più profondi. Ogni colore ha un simbolo e la scelta non è mai questione di gusto individuale come invece oggi avviene.
Del resto, il tema della tinta unita, è abbastanza estranea al mondo classico, dove i colori si trasformano l’uno nell’altro assumendo un valore simbolico. È un mondo carico di simboli, dove la bellezza si ottiene nelle armonie cromatiche e nella sfumatura articolata della composizione. La texture della pittura a olio delle opere del Rinascimento è caratterizzata da strati e velature. Leonardo si macinava i colori da solo e la campitura perfetta del colore, come quella dei campioni Pantone era sconosciuta.
Già all’epoca degli impressionisti il colore diventa disponibile in tubetto e la percezione che se ne ha comincia a cambiare. Ma è soprattutto con l’era tecnologica che nasce l’idea della campitura di colore definito e inizia a farsi spazio anche nel mondo dell’arte, che, da Warhol in poi, cerca di seguire la strada del marketing. Dalle perfette campiture di Mondrian o di Malevic ai monocromi sfumati di Rothko, la variegata dimensione spirituale si riprogetta, forse muore oppure possiamo dire che si razionalizza.
Per contro, la scienza scopre attualmente che il colore, non solo è pressoché indefinibile in natura come colore perfetto, ma che non esiste dal punto di vista oggettivo, perché è una condizione di nostra psicologica interpretazione delle onde fotoniche. I coni oculari sono divisi in un sessanta per cento di verde, trenta per cento di rosso e dieci di blu: tuttavia tutti rispondono a tutte le lunghezze d’onda e, in effetti esperimenti hanno dimostrato che il colore viene da noi adattato psicologicamente.
L’opera di Fiorella Noci, non rimane estranea allo spirito della contemporaneità e se è partita dall’afflato della visione variegata che offrono i papaveri, oggi conquista forme geometriche che, tuttavia, mantengono la cifra delle fasi alchemiche, in uno stile personale, per nulla rigido, ma ricco di simboli e riferimenti alle vicende del mondo. Un’astrazione che mantiene un forte contatto con il mondo interiore delle emozioni.